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"Le cicatrici del Ruanda "di Valentina Codeluppi (EMI-Bologna) / Il libro del week-end

Creato il 26 gennaio 2013 da Marianna06

Cicatrici-del-ruanda

 

Il genocidio del 6 aprile 1994 nel cuore dell’Africa, in Rwanda, ha fatto circa un milione di vittime. Meno certamente (6 milioni di innocenti gasati o morti per stenti) del numero di persone uccise dalla “soluzione finale”, toccata agli Ebrei nei campi di sterminio nazisti della civilissima Europa.

 Ma parimenti il genocidio ruandese resta un fattaccio storico cruento e ingiusto quanto quello se non forse di più.

Gli esecutori materiali, tutti hutu e i loro complici, erano e sono (alcuni attualmente ancora latitanti e protetti) anch’essi numerosi.

Nel Paese, dopo la vittoria di Paul Kagame e degli uomini del Fronte Patriottico Ruandese (1995), sono stati instruiti, com’è normale che sia, con dei tribunali ordinari, ricorrendo pure alle “corti” tradizionali, cioè ai cosiddetti “gacaca” e con l’impegno del Tribunale penale internazionale di Arusha, dei regolari processi per fare giustizia delle efferatezze compiute nei confronti dell’etnia numericamente minoritaria dei tutsi.

Tre fronti giudiziari, insomma ,tutti (secondo le intenzioni) per chiudere i conti  con un trauma che avrà fine molto probabilmente solo con la morte fisica di chi ha vissuto e subìto il dramma in prima persona.

Tutto questo impegno di uomini e di mezzi sta di fatto che  non ha prodotto, ancora oggi , la sperata riconciliazione tra hutu e tutsi.

Il Rwanda ha avuto, da quegli anni orribili in poi, con la presidenza Kagame, per fortuna, un’ottima ripresa sul piano della ricostruzione politica ed economica in generale ma l’insufficienza del rimedio dello strumento giudiziario è più che manifesta specie se si gira e si parla con la gente nelle strade di Kigali o di altre piccole città e anche nei villaggi rurali del “paese dalle mille colline”.

Questo secondo la Codeluppi, l’autrice appunto di “Le cicatrici del Ruanda”, in un’analisi recente della realtà ruandese, realizzata sul campo.

Condiziona  probabilmente, sostiene la Codeluppi, l’imposizione del pensiero unico nella lettura del genocidio, che non lascia margine ad altre modalità di analisi dei fatti. E, pertanto, non consente, al momento, alcuna forma di riconciliazione possibile .

Riconciliazione che  potrebbe avere luogo, magari, con tentativi “dal basso”.Ossia non istituzionali.

E, in proposito, un intero capitolo del libro illustra un progetto di natura sociale (Case Ahamoro), promosso dalla diocesi di Reggio Emilia.

Un modesto tentativo certo, un contributo piccolissimo, fatto da uomini e donne di buona volontà, per provare comunque, in qualche modo, a curare certe ferite che stentano  a rimarginarsi.

Un libro che  informa, incuriosisce e  merita attenzione.

 

   a cura di Marianna Micheluzzi (Ukundimana)


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